Sinfonia di Mosca dal libro settimo Giaccio sul fondo dell'Atlantico, efendi, sul fondo dell'Atlantico, appoggiato a un gomito. Guardo in su. Seguo con l'occhio un sottomarino, Che naviga alto, sopra di me, a quaranta metri di profondità. Come un pesce, efendi, come un pesce silenzioso, immerso in un'acqua verdissima e chiara. Lassù, come attraverso un vetro, tutto scintilla, efendi, ardono milioni di luci, simili a stelle. Qui è il principio dell'esistenza. Erbe variopinte, strane, alberi senza radici, animali marini, sale, iodio, tutto viene da qui, qui è il nostro principio, o mia cicogna, il germe della vita terrestre. È là, sornione, naviga il sottomarino di acciaio... La luce del giorno penetra fino a quattrocento metri, poi tutto è immerso nel buio, solo ogni tanto, in queste profondità, passano a un tratto veloci pesci fosforescenti... Un grosso strato d'acqua sta sopra di me, grosso, spesso, immobile, e io giaccio sul fondo... O luce dei miei occhi, giaccio disteso sul fondo dell'Atlantico, appoggiato a un gomito, e guardo in su. Navigano le petroliere, una dietro l'altra, in alto, sopra di me. Vedo le loro chiglie chiare che vanno veloci sotto il pelo dell'acqua. Rapido e pesante è il vortice delle eliche. I timoni, visti di sotto, hanno l'aria di giocattoli, vien voglia di girarli. Gli squali passano sotto le chiglie, vedo le loro pance e le fauci dentate. E a un tratto, tra le navi c'è uno spavento, come l'attesa d'una sciagura. La colpa non è degli squali. Il sottomarino ha lanciato un siluro. Guardo ora le eliche: vibrano a strappi, il loro aspetto è penoso. I timoni paiono chiedere aiuto. Ora le navi sono simili a uomini, che vogliano difendersi il ventre dai colpi di pugnale... Lo scafo era uno: guardo, ora son tre, poi sei, sette, otto. Le petroliere sparano e affondano. Nafta, petrolio, benzina Ardono e strisciano sulle acque. Il volto dell'oceano si e acceso. Ovunque, fiamma e grasso. Un rabesco oleoso e fiammante striscia sull'acqua, rosso-fuoco, blu, e nero, del colore del catrame, come nei giorni del caos, prima della creazione della Terra. Guarda, colpita dal siluro una petroliera affonda, fa pensare a un sonnambulo che passeggia dormendo. Ecco, la petroliera e scesa al di sotto del caos, entra nelle acque tranquille, ma scende ancora; non sopporta la pressione, e va in pezzi; e il suo albero, o ciminiera che sia, si posa accanto a me... In su, l'acqua è piena di uomini, che scendono come una polvere sospesa, o mia cicogna. con le teste in giù, con le teste in su. Le braccia e le gambe si allungano più che possono, ma non hanno dove aggrapparsi. Colano a picco... Il sottomarino tocca fondo, vicino a me. La torretta, come il coperchio d'una bara sfondata. salta via, e Hans Müller di Monaco vola fuori sul fondo. Prima di entrare in marina, nella primavera del '39 Hans Müller di Monaco era il terzo soldato nella quarta fila dei primo plotone di un reparto speciale. Hans Müller di Monaco aveva tre amori: uno - la birra dalla schiuma d'oro, due - Anna, pienotta, bianca, come una patata prussiana tre - il cavolo _tosso. Hans Müller di Monaco sentiva tre doveri: uno - salutare i superiori, come un fulmine, due - giurare sulla sua rivoltella, tre - ingiuriare come un dannato, ogni giorno, almeno tre ebrei. Hans Müller di Monaco aveva tre terrori: uno - der Führer, due - der Führer, tre - der Führer. Hans Müller di Monaco con i suoi amori, doveri e terrori, viveva gagliardo e fiero fino al 1939. Si stupiva che Anna, maestosa come un do wagneriano, piena, bianca, come una patata prussiana, sempre si lamentasse della crisi delle uova e del burro, e borbottasse che questi prodotti raramente fossero in casa. Hans cercava sempre di persuaderla: - Pensa, Anna, che metterò un cinturone nuovo fiammante e stivali nuovi, verniciati, brillanti; e tu ti ornerai la testa di fiori di cera, e insieme passeremo solennemente sotto le spade, incrociate sulle nostre teste! Cercava sempre di convincerla: - Pensa, Anna, che avremo certamente dodici figli, tutti maschi! Se, per mangiare oggi uova e burro, non costruissimo sempre più e più cannoni, come potrebbero un giorno andare a far guerra i nostri dodici ragazzi?... I dodici ragazzi di Hans Müller di Monaco non potranno andare a far guerra, per la semplice ragione che non son potuti nascere, per la semplice ragione che il loro futuro padre non ha avuto neanche il tempo di sposarsi, è andato in guerra, e insieme col sottomarino è colato a picco nell'Atlantico, quando ancora non si era congiunto con la paffuta patata Anna. Ed ecco, nel tardo autunno del '41, Hans Müller di Monaco sta davanti a me, sul fondo dell'oceano. I suoi radi capelli rossi sono appiccicati sulla fronte bagnata, e il suo rosso nasino si è fatto più puntuto e sconcertato, l'amarezza e la paura si sono impresse agli angoli delle sue labbra sottili. E standomi ritto accanto, senza togliermi gli occhi di dosso, mi guarda con uno sguardo lontano, con uno sguardo di cadavere. Io so che non vedrà più la sua Anna, non berrà più la sua birra, non mangerà più il suo cavolo rosso. Io lo so con precisione, ma lui non sa nulla. Gli occhi gli lacrimano, ma lui non se li asciuga, i soldi nella sua tasca non crescono, non scemano. E la cosa più sorprendente, o luce dei miei occhi, è che Hans Müller non può più uccidere nessuno, 1 4 ne essere ucciso, efendi! Presto gonfierà tutto, risalirà alla superficie delle acque, le onde lo sballotteranno come un mucchio di letame, i pesci gli morderanno l'aguzzo naso ariano. Mentre io, pensando a queste cose, osservo Hans Müller, d'un tratto mi appare accanto un altro uomo. È Harry Thomson del porto di Liverpool, Thomson, che fino a poco fa era al timone d'una petroliera. Ha le sopracciglia e le ciglia bruciacchiate, gli occhi chiusi, che paion cuciti. Grosso e rasato, marito legittimo di sua moglie, un'inglese che sembra una scopa. Come una scopa, o mia cicogna, lunga e magra, ficcanaso e maligna, come una scopa bada alla pulizia. Thomson ha un figlio: un bambino di sei anni, paffutello, ricciuto, biondo roseo. Prendo Thomson per mano, ma lui non apre occhio. - Sei morto? - gli chiedo. - Sì - mi risponde subito, - son caduto combattendo contro il nemico, per l'Inghilterra e la libertà! Perché io possa liberamente senza paura di nulla e di nessuno, ingiuriare, se voglio, perfino Churchill in persona. Oh, questa è una gran libertà! Non puoi negarlo. Per essa siamo stati costretti da secoli a lottare coi lords. Se mi va - ingiurio Churchill, se mi va - finisco affamato. Posso crepare di fame, è vero, anche se non voglio. Ma questo punto in cui libertà e capestro s'incontrano, dopo la guerra, naturalmente, dovrà essere cambiato. Uno dei lords più intelligenti ha già approntato un piano: come costruire il paradiso in terra, senza rivoluzioni. No! lo non intendo distruggere l'impero britannico e le vostre vecchie leggi. Non vuol questo nemmeno il capo delle Trade-Unions, nemmeno mia moglie! I beg your pardon (*). Thomson tace, non aggiunge parola. Gl'inglesi sono di poche parole e hanno humour. Thomson, scherza con finezza, anche da morto... lo distendo i ;cadaveri di Hans e di Harry, uno accanto all'altro. Insieme, gonfiano, e risalgono alla superficie delle acque. I pesci divorano con piacere il corpo di Thomson, ma non toccano quello di Müller, temendo imbarazzi di stomaco. Non dire, cicogna mia, che i pesci sono stupidi; tu, benché uccello, sei tutt'altro che stupida!... [...] (*) Vi chiuda scusa